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Le opere di Raffaele Di Vaia sfuggono ad una visione univoca e diretta; le sue stampe fotografiche sono appena percepibili sulla trasparenza dei supporti in vetro e plexiglas, mentre le immagini dei video vengono assorbite nell’oscurità dominante dei toni del nero, come visioni transitorie e labili che provengono dall’inconscio e dal sogno. Dalle serie degli autoritratti, focalizzati sull’elemento della testa dell’artista, ai micro-racconti ossessivi e alle scene claustrofobiche che ricorrono nella recente produzione video, il lavoro di Di Vaia si sviluppa nel tentativo di spostare l’attenzione sulla fonte del pensiero e sulle sue complesse dinamiche: dai momenti di astrazione intellettiva, agli stati in cui le pulsioni del corpo ne offuscano la lucidità, in un magma oscuro di visioni e ricordi. Negli ultimi anni Di Vaia recupera lo strumento del disegno per riflettere sull’ambiguità e le zone d’ombra della mente umana, temi già affrontati nei lavori precedenti; attraverso la tecnica del frottage il contorno dell’immagine si incide sulla carta come un bassorilievo, un’impronta che diviene segno dell’insistenza del pensiero su un oggetto o su un particolare momento di una storia. Così la serie su carta degli Usci, cinque porte chiuse in dimensione naturale, richiama l’inquadratura fissa sulla maniglia di una porta nel video La trappola che, nell’impossibilità o la fobia di aprirsi un varco oltre la porta, comunica un senso di attesa e inquietudine. La stretta relazione tra disegno e video è al centro dei lavori più recenti dell’artista, dove l’immagine è il risultato ultimo del processo disegnativo, effettuato nel momento in cui il video viene proiettato sul supporto cartaceo: i segni si intersecano e si sovrappongono restituendo la dimensione temporale della memoria e del ricordo, senza una progressione lineare e logica. Alessandra Tempesti