Faustine, 2009 | video, colore | 09’16”
[…] una stratificazione d’immagini a camera fissa con commento musicale di Schubert, racconta l’incontro di due donne di età differente, l’una come specchio dell’altra. Il significante della creazione porta in seno una volontà di richiamare le tematiche poste all’interno del romanzo “L’invenzione di Morel” di Adolfo Bioy Casares. Scorrendo la narrazione del testo si arriva a intendere che il protagonista, un fuggitivo, si innamora di una donna, che attraverso l’invenzione di Morel, non ha più una concretezza fisica ma è solo immagine che si ripete ogni volta che il macchinario si mette in moto, come se fosse una sorta di allucinazione che vive nei medesimi ambienti abitati dallo stesso fuggiasco. Faustine, la donna oggetto del desiderio del protagonista, chiaramente interagisce con gli altri personaggi a loro volta proiezioni, ma non con l’innamorato. L’amore per l’immagine è talmente forte da spingere l’uomo a farsi investire dal raggio dell’invenzione, conscio che andrà verso la morte, visto che nello svolgersi della trama, capisce che gli individui sottoposti a tele macchinario, dopo poco sarebbero deceduti. Qui la vanità tocca il livello più alto perché l’amore per una meta-rappresentazione, si trasforma in memento mori. A differenza di, Vello, in Faustine non esistono aspetti ferali, ma bensì l’attrazione quale momento sublime dell’essere umano, che lo conduce inevitabilmente ad annientare se stesso nella ripetizione dell’immagine, come se d’un tratto l’Eros e il Thanatos diventassero l’uno il riflesso dell’altro. […]
Francesco Funghi (dal testo critico della mostra Omnia vanitas, Studio Chimera, Vinci – Firenze)