Flat

a cura di Serena Trinchero

SRISA Gallery of Contemporary Art | Firenze | 28.10.2016 – 17.11.2016

FLAT

Abbi pazienza, ché il mondo è vasto e largo
Edwin A. Abbot, Flatlandia

Con un sorriso sardonico i disegni di Raffaele Di Vaia affermano la nostra finitezza di uomini e la nostra impossibilità di comprendere il tutto. Anche nelle opere raccolte in FLAT l’attitudine dell’artista è quella di mettersi alla prova,sondare fisico e mente, perseguire serialità impossibili e catalogazioni interminabili per dimostrare che nulla è più imperscrutabile di ciò che ci accompagna da sempre.

Avvolto su sé stesso ed aggrappato ad una autoreferenzialità che quasi annulla la scientificità del metodo perseguito, il lavoro Di Vaia gioca con lo spettatore, mettendolo continuamente in crisi con immagini che, anche grazie ai numerosi riferimenti letterari, rivelano sempre una doppia natura. Le nuove serie che vengono presentate si distaccano dalle produzioni precedenti per un inedito sguardo sul reale – da una parte la volta celeste, dall’altra la terra – pur mantenendo intatte le caratteristiche precipue della sua ricerca che ha nelle possibilità del disegno e nella riflessione sulla rappresentazione i suoi fondamenti.

La più titanica delle nuove sfide è quella che vede l’artista alle prese con la catalogazione delle stelle: paradigma di una impossibilità che nel tempo ha stimolato l’uomo a trovare nuove soluzioni nella battaglia per la conoscenza. Ispirato dalle costellazioni, appigli nel vuoto che uniscono stelle lontanissime e difformi in un disegno fantastico, e dalle prime classificazioni, affidate alle donne che nel tempo compresero come associare il colore degli astri alla loro vecchiaia, nasce Corpi (2016), semplici punti nel vuoto nero di un foglio di carta. Un unico segno, netto e scintillante di grafite, viene corredato dalla denominazione dell’astro secondo la codifica adottata, tra il XVI e XVII secolo, da Johann Bayer, giursita e astronomo tedesco autore del primo atlante stellare.          
Quale dunque la relazione tra cartografia e l’esperienza umana? Tra geometria piana e mondo tridimensionale? La risposta è racchiusa nella scena rivelatrice dell’incontro di una pentagono con una sfera, descritta da Edwin A. Abbot (1838-1926) nella favola matematica Flatlandia (1882). Qui similmente da quanto messo in atto da Di Vaia il luogo diventa linguaggio, uno spazio astratto con leggi proprie. La riduzione formale portata avanti dall’artista per rappresentare il visibile è dunque un mezzo e un agente che offre la possibilità di tracciare, come in un gioco per bambini, infinite nuove costellazioni. Nuovi disegni e nuove storie nascono dall’infrangersi di illusorio studio scientifico.

Il punto, il minimo grado di rappresentazione, è lo zero da cui tutto si genera e departe. Un’unità primordiale che solo grazie all’osservazione minuziosa e all’uso della tecnica svela la sua vera natura. Zero (2016) è la scansione di una delle stelle che compongono Corpi (2016), un punto che ingrandito mostra la sua deflagrazione interna. Similmente alla struttura dell’ atomo anch’egli rivela una forza esplosiva che apre il campo a nuove speculazioni, a un nuovo infinito da sondare. 

Ogni serie, ogni tentativo, seppur velleitario, si configura come una speculazione sul viaggio intrapreso e sul metodo, così come accade in Da Plaza Constitución verso calle Garay  (2016) ispirato al racconto L’Aleph di Borges. L’opera, costituita da sezioni di una mappa di Buenos Aires (da Plaza Constitución  a calle Garay), traccia sulla parete un percorso che lo spettatore è invitato a seguire, quello che separa due punti della città, che è solo lecito immaginare. Un tracciato che per sineddoche rappresenta il tentavo di mappare l’intero mondo, partendo da un punto di inizio verso cui tutte le cose fanno ritorno e a cui tutte le cose tendono come L’Aleph per Borges:  l’inizio, il tutto, la fine. 

Ritorna quindi una straordinaria similitudine tra il punto e l’infinito, tra il minimo e l’universale. Più l’artista sottolinea l’incapacità di generare novità e di comprendere il tutto, più il suo affidarsi ad una riduzione minimale del gesto artistico lascia intravedere le infinite possibilità del disegno. Una volta accettate le regole illusionistiche e linguistiche del gioco della rappresentazione, il foglio diviene un universo altro. Ogni opera è in relazione all’altra, in un continuo e vorticoso concatenarsi che ci porta sempre più a fondo. Ogni visione, ogni reiterazione costituisce un tassello, un sintagma dell’immaginario senza fine in cui Di Vaia ci fa entrare e ci intrappola, senza via d’ uscita. 

Serena Trinchero

https://srisa.org/events/exhibition-raffaele-di-vaia-flat/